PALMIERI L. : Lectio Magistralis

PALMIERI  L. (*)

 

Lectio Magistralis

 

Relazione alle VI Giornate Di Studio GISDI: “La medicina del piacere: tra  benessere e danno alla persona” . Sestri Levante (GE) 27 – 29 Ottobre 2011.

(*)Presidente del Gruppo Interdisciplinare di Studio Danno Iatrogeno (GISDI).

 

 

Riassunto:

Viene effettuata un’ ampia discussione sul tema della “terapia ludica”, la medicina del superfluo, introducendo il concetto del “diritto alla bellezza” e descrivendo il dibattito che su di esso si è sviluppato. Sono affrontati gli aspetti psicologici, psicopatologici e sociali dell’ argomento.

 

Abstract:

The “Unnecessary Medicine” and the “Right to be beautiful”  are discussed; the debate on these topics is described. Psychological, patohological and social issues are analyzed.

 

 

 

Chi si aspetta da questa mia lettura l’analisi del fenomeno della terapia ludica e i risvolti medico legali potrà certamente  rimanere deluso, non mi sono infatti dilungato ad affrontare sulla base della dottrina e delle sentenze e perché non anche  della personale esperienza  il tema che pur avrebbe ampi argomenti che giustificano del resto la scelta del tema di questo convegno, se vede impegnata la nostra disciplina dai tempi più remoti    iniziando dal dibattuto tema sull’obbligo dei mezzi o del risultato e se le specialistiche oggetto di dibattito in questo congresso costituiscono ampia parte del nostro impegno odierno per i contenziosi giudiziari, nei quali peraltro  il problema storico appare appena sfiorato, per non dire probabilmente addirittura dimenticato, per fare affiorare altri temi di dibattito sul comportamento del chirurgo, la liceità di interventi senza patologia in atto, il ricorso al benessere psichico per giustificarli e così via, gli errori tecnici e quelli ritenuti tali, per cui si sta a discutere sul centimetro in più della residua cicatrice o della sua disposizione un centimetro più su della linea del bikini , della asimmetria dei seni con alterazione del sinus, della deviazione dei capezzoli o della differenza da quanto programmato in previsione sulla lordosi della rinoplastica; egualmente del prosieguo della virilità grazie all’uso di farmaci ed al loro presumibile danno, o infine all’inverso problema di un  perfezionismo estetico che mostra di per sé l’innaturale dentatura della persona: ricordiamo a  tal proposito il processo intentato da una nota attrice all’odontoiatra che le aveva impiantato una protesi con elementi così perfetti  da essere di” di per sé innaturali. La notizia comparve sui giornali di qualche anno fa  e fece scalpore con il titolo “cita l’odontoiatra per la perfetta riuscita dell’intervento”. Egualmente mi sarei dovuto soffermare sui farmaci della felicità di remota memoria che  alterano la personalità del soggetto facendo vivere una irreale condizione di benessere a danno del proprio essere.

Sarebbe dovuto essere questa forse l’impostazione corretta per una lettura magistrale che inaugura un congresso  sul tema “medicina legale  e le terapie ludiche”. Ma, ispirato  da un altro dibattuto problema che attiene alla economia medicale piuttosto che alla medicina legale anche se questa vi rientra solo a posteriori allorché deve pronunciarsi sul motivo di correzioni estetiche pretestate per patologie in pectore o in atto, e prendendo spunto dai dibattiti che nei paesi anglosassoni  sempre più numerosi vengono posti all’attenzione dell’opinione pubblica, mi soffermerò su di un tema scottante e di attualità: sussiste o meno un diritto alla bellezza?

 

L’argomento è stato del tutto recentemente sottoposto alla opinione pubblica dai media che hanno riportato, e diversamente commentato, i risultati di indagini svolte presso gli stati Uniti  oggetto di un ulteriore confronto in Gran Bretagna ove, come forse a voi già noto, si è costituita sotto la spinta di una  nota attrice la lega contro la chirurgia estetica.

E’ con questo spirito che ho impostato la lettura che il presidente del congresso  mi ha acconsentito e che spero  riuscirà a  tenere desta la vostra attenzione.

In Italia l’argomento è stato dibattuto del tutto recentemente a Cagliari  con l’intervento di opinionisti e sociologi, personalità della cultura  per dibattere il dilemma  se sussiste o meno un diritto alla bellezza.

Il dilemma nasce dalla affermazione di Pitanguay che in Brasile aveva stimolato ed attuato l’apertura di centri di assistenza estetica finalizzati ai non abbienti, convinto che la bellezza, o meglio la non  bruttezza, fosse divenuto un bene patrimoniale, dal momento che è uno dei principali elementi di cui  il mercato del lavoro non sa fare a meno nella scelta del personale prevalentemente femminile da assumere. Questa realtà,  ritenuta assai concreta in Brasile,  trova sostanziale conferma nel mondo ed è su questo tema che sempre più numerosi  antropologi, psicologi e sociologi con diversa impostazione e rispettive conclusioni si sono attivati a  dibattere il tema.

Alla  domanda posta dall’antropologo Alexander Edmonds ad una non giovanissima  colf brasiliana del perché avesse rifatto il seno, questa rispose “non lo faccio certo per esibire il mio corpo, ma per sentirmi meglio, oltretutto non si è trattato di una semplice vanità, ma di una vanità necessaria”; ella innescava  un nuovo concetto  su cui sociologi e antropologi si sono impegnati a discutere; dobbiamo quindi  a questa colf l’inserimento nel lessico sociologico del concetto di vanità necessaria.

 

E così il lavoro dell’antropologo Edmonds, docente presso l’Università di Amsterdam, “bellezza, sesso e chirurgia estetica in Brasile”, viene subito recensito  dal New York Times nell’ agosto di quest’anno, risvegliando l’interesse del mondo accademico finendo con l’esaltazione del mantra ossessivo di Pitanguay che, ora definito  psicologo con il bisturi, ora  filosofo della plastica, insegna ai suoi numerosissimi allievi sparsi in tutto il mondo che anche il povero ha diritto alla bellezza; le motivazioni che adduce, portate alla esasperazione portano l’autore ad affermare che “ se le cose stanno così dobbiamo considerare la bellezza un diritto e di conseguenza, così come l’istruzione, l’educazione  e la salute, ha bisogno del supporto delle istituzioni pubbliche”.

 

A dimostrare la validità dell’ affermazione dell’Edmonds, la rivista Times ha  finanziato una ricerca ad uno statistico per esaminare quanto incide nelle diverse buste paga l’essere attraenti, con il risultato di vedere l’aspetto esteriore una validissima arma per salire nella scala sociale nei paesi non solo sudamericani, ma in tutto il territorio statunitense. Da queste risultanze la nota sociologa Lea Melandri, esponente di spicco del movimento femminista degli anni ottanta,e fondatrice della libera università delle donne, ritiene che la pubblicità è a base del problema, facendo divenire la bellezza un capitale, “ moneta importante per farsi strada, così necessaria, al punto che qualcuno parla di diritto; ma ciò ella afferma non è la causa bensì l’effetto di una prepotenza, quella della disuguaglianza e del privilegio, di un pregiudizio mai spento nei confronti delle donne come oggetto sessuale”. Sembra quasi l’ effetto di una sottile distinzione ontologica fra uomini e donne propria dell’essere e/o dell’apparire , come se il genere femminile faccia parte naturale di quella sottocategoria che deve per forza interessarsi della propria immagine.

Di avviso contrario è la filosofa Michela Marzano che in un saggio pubblicato da Mondadori spiega ( sii bella e stai zitta )  “ Già l’espressione diritto alla bellezza mi fa sorridere e mi innervosisce , in quanto da una parte distoglie dai veri diritti primari ben lungi dall’essere stati conseguiti e che nelle realtà contestuali sono assai in pericolo, dall’altra manipola lo stesso concetto di diritto, evoluzioni del dovere frutto della dittatura dell’apparenza “.  Non è un caso, pertanto,  che nei curricula per inserimento lavorativo soprattutto la donna adduca il proprio aspetto come elemento di investimento, motivato dalla convinzione che l’apparenza superi di gran lunga l’essere. Ci si domanda quindi se questo non sia un “ Impegno categorico che toglie la libertà di essere come si è”. Dalla risposta affermativa a questo quesito si passa ad un secondo quesito che diverrebbe assioma, “ può considerarsi  un diritto  un principio che annulla una  libertà? “  Così , il filosofo cagliaritano Remo Rodei rifacendosi alla affermazione della Marzano,  non esclude a priori l’ipotesi di un futuro diritto ad essere belli, e si congratula con il Chirurgo plastico sardo Santoni Rugiu che,  facendo proprio  il mantra di Pitanguay , si attiva anche nei confronti dei bisognosi trascorrendo periodicamente lunghi soggiorni in Africa per operare vittime delle mutilazioni facciali, affermando il principio che sia giusto correggere la lotteria naturale che fa nascere uno bello e l’altro brutto, con un labbro leporino o un naso a sella; ma contestualmente ritenendo scorretta ed immotivata l’impostazione del pensiero che porta a parlare di un diritto alla bellezza come presupposto di una vanità necessaria, intendendo per questo il desiderio di chi si piega al consumismo esasperato di una società marcia che si basa su imposizioni innaturali del non accettare la propria immagine,  ovvero chi non accetta il passare del tempo e si trasforma in una vetrina ambulante, priva di ogni consistenza , vale a dire  la negazione di sé stessi , soggetti che egli definisce “una maschera”.

 

Si discute a questo punto sul concetto di diritto che, esasperato, fa nascere il dubbio  che quanto riportato nella costituzione innovativa promulgata da Khomeini nel 1979 e che contemplava il diritto ad essere felici potesse essere effettivamente realizzato, principio del resto presentato del tutto recentemente come emendamento nella costituzione americana.

Continuando la rassegna di quanto ho letto, riporto come del tutto recentemente Carla Barbera in un saggio pubblicato dalla casa editrice il Melangolo ( Sex and the city e la filosofia ) si sofferma ad analizzare il concetto innovativo di vanità necessaria che, pur inquadrandolo in una esigenza e non in un  diritto, la vede possibilista sull’ipotesi che la bellezza possa diventare un diritto “ nella misura peraltro in cui può aiutare gli individui a stare meglio e nella misura in cui i diritti umani primari fossero tutti soddisfatti”. Ella non entra poi, nel merito del concetto di diritto – che, in quanto tale connette al concetto di libertà -, aprendo viceversa un altro aspetto del problema ben più ampio, infatti sposta l’attenzione sul problema della identità.

 

Nasce spontanea una domanda dopo aver letto il saggio della Barbera. Chi diventiamo dopo un intervento di chirurgia plastica a finalità estetica, veramente cambiamo?  La risposta viene data da John Loke, filosofo Olandese del 700 che si domandava se lo spirito di un uomo umile e modesto entrasse nel corpo di un uomo ricco ed importante costretto a prendere decisioni rilevanti,  queste sarebbero il frutto della personalità del prima o del dopo?

Chi si sottopone ad un intervento di chirurgia plastica deve essere  consapevole che la sua identità non cambierà e resterà sempre il risultato del suo essere, frutto di una costituzione di base e delle esperienze vissute;  se non si sono vinte le insicurezze  nel prima, queste non verranno certo eliminate dopo. E’quanto molto sanno i medici legali che spesso si ritrovano innanzi a rifiuti di un  risultato pur corrispondente alle attese programmate.

 

La psicanalista napoletana,  Adele Nunziante Cesaro  docente di psicologia clinica all’università di napoli Federico II, nel contesto di un dibattito a cui ho partecipato direttamente condivideva l’ipotesi da me prospettata di un inquadramento del problema con il ricorso al diritto alla salute, ed in parte negando l’affermazione precedente,si adegua al “ se  c’è un diritto alla salute e per essa anche alla salute mentale, diviene legittimo un diritto alla bellezza, in quanto sentirsi belli conduce ad un livello di autostima più alto e ciò può rendere felici”.

 

E’ bene allora soffermarci un momento sul concetto di autostima  che è un processo individuale  che ha a che fare con la costituzione della identità personale e non certamente con la propria immagine innanzi allo specchio, essa si forma su valori concettuali ben più alti, si basa sulle esperienze vissute e sul modo di superare le avversità come il dolore, i propri limiti , la separazione, la morte e, poiché siamo nel tema, l’invecchiamento.

Si rischia di condividere la non certo apprezzabile concezione di una società edonistica che, come non vuole accettare la morte naturale  cercando un comunque responsabile all’evento luttuoso, così non vuole accettare ogni lato negativo della propria esistenza, ammesso che il tempo che passa sia da considerare un limite al proprio essere.

 

Supporta il concetto di una autostima venuta meno Lorella Zanardo che nel saggio “ il corpo delle donne” edito dalla Feltrinelli,  parla di “corpi occultati” dalla chirurgia estetica e denuncia il dovere nascondere le rughe proprie come un sopruso di una società che non vive più nella dimensione reale di un tempo che scorre, vittima di una fatuità che, priva di valori essenziali, assegna all’immagine la propria consistenza.

“La nostra faccia, dal verbo fare,  è l’espressione della nostra storia, delle nostre esperienze, del nostro vissuto, cambiandola artificialmente cambia il  nostro messaggio quello che il nostro viso comunica, e diviene un falso, siamo certi che vogliamo questo?”

Una semplice considerazione porta a rilevare come , di norma non ci si chiede: « Chi sono io? ». La propria identità è data per scontata. Ognuno di noi porta documenti  di identificazione e, a livello conscio, sa chi è. Tuttavia spesso nell’inconscio  si è in conflitto con se stessi, insicuri e l’insicurezza riflette il problema di identità. Quando l’insoddisfazione si muta in prostrazione e l’insicurezza domina l’esistenza è il momento in cui si finisce col chiedersi  « Chi sono io? » : è il momento che segna come la facciata esterna, vale a dire le sembianze e il ruolo che abbiamo nel contesto sociale e che ci servono  da identità si sta sgretolando.

Il necessario ricorso ad una facciata o l’adozione di un RUOLO per avere una identità denota l’evidente scissione tra l’io e il corpo che può condurre alla mancata identificazione di se stessi, fondamento di una vita personale. Ma, per sapere chi siamo dobbiamo essere consapevoli di ciò che sentiamo, non bastano l’espressione del nostro viso, il portamento, il modo in cui ci muoviamo. Quando l’immagine dell’io si rivela vuota e priva di  significato, l’identità basata su un’immagine di sé o su un ruolo non dà più soddisfazione. Allo scoraggiamento segue la depressione, e, invece di lottare alla ricerca della identità perduta, finiamo con l’attribuire al decadimento fisico la causa del  malessere e crediamo che la terapia sia nel maquillage plastico.

Del resto il tema centrale delle opere di  Fromm non è forse  L’immagine è una concezione mentale che, sovrapposta all’essere fisico, riduce l’esistenza corporea a un ruolo sussidiario? Il corpo diventa uno strumento della volontà al servizio dell’immagine. L’individuo è alienato dalla realtà del suo corpo.

La medicina legale è solita differenziare i concetti  di uomo e persona, solo apparentemente sinonimi, ma invero molto diversi: per uomo si intende un corpo materiale vivente, il bios ;  la persona invece è l’uomo con la sua esperienza, con la sua coscienza, con la sua memoria,  capace di  credere nella sua identità tale da differenziarsi da tutti gli altri, così che come afferma Locke «fin dove questa coscienza può essere estesa indietro ai  pensieri del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona»

Ma il mito della bellezza oggi viene presentato in modo alquanto distorto, basato esclusivamente sul versante fisico senza tener conto che una persona può essere considerata “bella”  non necessariamente  per le sue qualità estetiche ma per altri valori, il suo modo di vivere, la personalità, la simpatia, doti personali, capacità ed attitudini. Il rischio pertanto di chi ricorre alla chirurgia plastica per raggiungere un’ideale di bellezza artificiale, è quello di ritrovarsi in un corpo estraneo, in un corpo che non riflette più l’identità  ormai  perduta.
Non vi è dubbio che il tentativo di migliorare il proprio aspetto fisico nasconde spesso bisogni più profondi della persona e relativi alla autostima, con ansia ed insicurezza con se stessi e con il mondo circostante facendo in modo di sopravvalutare l’intervento chirurgico che diviene l’unica terapia a cui riucorrere. Se il conflitto interiore che ne sta alla base non viene affrontato adeguatamente, alla fine si arriva ad essere chi non si è, ovvero a guardare allo specchio un corpo “perfetto” ma senza volto e dunque senza anima, perché privo di se stessi, con il risultato di una maggiore sofferenza interna.

Dalla  lettura del saggio  “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardi (2009), presentato del tutto recentemente al Parlamento Europeo, si traggono spunti di riflessione aggiuntivi per una diversa interpretazione, laddove l’ autrice afferma che chi si adegua all’andazzo, mostra di voler fra propri  i desideri e le richieste di un mondo esterno, catturato dai messaggi che arrivano dai media, bisogna domandarsi se ciò è patologia o meno. La Zanardo scrive “Questi messaggi esprimono un immaginario maschile e le donne, mediante l’omologazione agli stereotipi sociali, finiscono con il soddisfare questi desideri, non i propri, che forse neanche conoscono”.

Si ricade sul tema della ricerca della propria identità nelle adolescenti e nelle più giovani e contestualmente  sulla negazione del tempo che passa  per le donne mature; passando  al sesso maschile, non regge certo il principio della vanità necessaria che in una qualche misura può giustificarlo per le donne, in questi casi è sostenuto dal narcisismo, che comunque è pur sempre un disturbo di personalità.

L’adolescenza è il momento in cui i ragazzi cominciano a rapportarsi con il mondo esterno, momento di  fisiologica fragilità che porta il giovane a scelte condivise dal mondo esterno che gli garantiscono sicurezza e appartenenza.

Sono di solito i modelli forniti dal gruppo di amici, dai coetanei ma ancor più dai media, dalla pubblicità Tutti gli  spettacoli di intrattenimento televisivi offrono una immagine femminile svilita, mortificata, priva di individualità e di spessore soggettivo, ma attraente fisicamente. Il “bisogno” di essere riconosciuti ed accettati dagli altri porta l’adolescente a perdere quell’equilibrio tra mente e corpo necessario per riconoscersi, idealizzando un modello di perfezione presupposto di un accanimento verso interventi estetici, che rischiano assai spesso  di non essere mai soddisfacenti.

Nelle donne anziane il motivo è il rifiuto del tempo che passa che rende difficile l’elaborazione della perdita della giovinezza e l’accettazione di non poter recuperare la fisiologica bellezza dell’età giovanile.

Attraverso il ricorso alla chirurgia estetica si tenta di cancellare i segni del tempo che passa, annullando la propria identità e la propria storia, e svalutando la propria  stessa esistenza. Si può parlare di patologia?

Patologico è  il risultato, spesso catastrofico, con sembianze grottesche,  umilianti, facce di gomma, seni prominenti su corpi sorretti a malapena da due stampelle, immagini di  corpi vuoti, sensazioni di e paura di un nulla, dietro quella fittizia bellezza di plastica.

Alex  Kuzhinski, del New York Times, in un  libro inchiesta “la bella e la bestia” analizzando il fenomeno di quella che definisce “la comune ossessione che porta in media a spendere quindici milioni di dollari  annui per  cambiare l’aspetto ai vip  e alle  segretarie di tutta l’America, innanzi  all’apparente calo di questa cifra nel biennio antecedente il  2010, si poneva la domanda se effettivamente sia finita la corsa al viso e al corpo perfetto, pur segnalando per la prima volta l’incremento del nel sesso maschile. Secondo Kuzhinski avrebbe fatto presa anche in America la crociata che in  Inghilterra l’attrice Kate Winslet porta avanti; questa, dopo essersi sottoposta anche per desiderio dei genitori a interventi a catena per divenire bellissima, ha fondato l’ anticosmetic surgery league una lega contro la chirurgia estetica e plastica, affermando “Va contro la mia morale … sono un’attrice e non voglio bloccare per sempre l’espressione del mio volto”. La lega che fa continui proseliti, veniva ritenuta una delle cause della recessione degli ultimi due anni durante i quali peraltro nei soli Stati Uniti nel 2010 vennero comunque eseguiti sedici milioni di interventi estetici.

Non mi soffermo sui dati statistici che peraltro sono necessariamente incompleti, segnalando solo che Il trend è comunque sempre in crescita, con incremento del fenomeno  fra i quindici ed i diciannove anni, con dati peraltro privi di quanto viene praticato nei laboratori privati, i cui responsabili omettono le registrazioni,

l’incremento sui minori, da qualche tempo ha portato  i  media sempre più numerosi ad inneggiare alla iniziativa della Kate Winslet in analogia al costante pensiero di Natalia Aspesi  “ la gente che appare troppo perfetta non è certamente sexy e, quando particolarmente bella,  comunque dà l’immagine di falsità”.

Diritto alla bellezza dunque che troverebbe  sostegno e liceità anche storica ed etica se si ricorda che Il papiro di Edwin Smith, datato 3000 a.C.,  contiene la prima descrizione della chirurgia di un trauma facciale, con fratture nasali e della mandibola. È il documento più antico da cui nasce una storia che testimonia una fase terapeutica della disciplina. Così vediamo la prima ricostruzione di nasi, orecchie e labbra nei testi Indù datati circa 400 a. C. quando andava di moda tagliare il naso e le orecchie al nemico e ai condannati, un medico Indù, Sushrata, descrive nella sua enciclopedia Samhita, la ricostruzione dell’orecchio con pelle prelevata dalla guancia e la ricostruzione del naso detta ancora oggi “metodo indù”. Sempre ai medici indù si deve il trapianto di pelle prelevata dalle natiche: tecnica che predaterebbe di oltre 2 millenni il primo trapianto di pelle descritto da Jacques-Louis Reverdin, chirurgo svizzero, nel 1869. Nel 4 secolo a. C. Alessandro Magno il Macedone invase l’India, e importò queste tecniche nel Mediterraneo; nel 1 secolo d.C. il medico romano Aulo Cornelio Celso descrisse la riparazione della mutilazione delle labbra, delle orecchie, del naso nel suo De Medicina. E nel 4 secolo d. C. Oribasio, medico di corte bizantino, nella sua Synagogue Medicae ( enciclopedia di 70 volumi), dedicò due capitoli alla ricostruzione dei difetti della faccia. Contemporanea è la correzione del labbro leporino, che a partire dal 4° secolo veniva praticata in Cina dai medici della dinastia Chin.

In Italia due famiglie di barbieri,  una sicula  l’altra calabra, apportarono modifiche alle tecniche di ricostruzione nasale  nel quindicesimo secolo, Le descrive Alexander Benedictus, docente all’Università di Padova.

Potrei dilungarmi con aneddoti e storia  ,ma mi limito a ricordare   che nel 1818, il tedesco Carl Von Graefe, considerato il miglior chirurgo d’Europa pubblicò “Rhinoplastik” tanto da essere considerato padre della chirurgia plastica moderna.

La ricostruzione completa del naso risale al 1892 quando Robert Weir utilizzò lo sterno d’anatra, e venne coniato il vocabolo “rinomania”, cioè  ricerca patologica del perfezionismo chirurgico dei pazienti. «Un comportamento che sicuramente persiste tutt’ora ed è uno dei problemi più importanti della chirurgia”.

 

Sul piano etico dal diciottesimo secolo la chirurgia plastica ha avuto un ulteriore sviluppo grazie alla necessità di porre rimedio alle ferite belliche, limitata solitamente alle ferite del volto, chirurgia predittiva a quella specialistica maxillo-facciale, oggi disciplina ben codificata.

 

E’ con il francese Suzanne Noel e l’americano C.C. Miller che la chirurgia estetica inizia a delinearsi come branca chirurgica autonoma.

Il suo sdoganamento era vicino al punto che in Germania Vincent Czerny sosteneva il solo scopo estetico essere sufficiente a giustificare un intervento chirurgico.

 

Fra il 1920 e il 1940 la chirurgia plastica era stata accettata anche dall’università con un primo corso universitario nel 1924, al John Hopkins Hospital.

Se, la prima mastoplastica con tessuto prelevato dalla stessa paziente fu effettuata da Czerny nel 1895, prelevando un lipoma dalla schiena per correggere una asimmetria del seno, alla fine del 19° secolo iniziò l’era  dei materiali sintetici. Nel 1899 si tentò con la paraffina, poi con cera d’api, oli vegetali ed altro, pratiche tutte dal 1960 proibita per i danni che arrecavano alle pazienti. Si passò alle protesi, le prime erano d’avorio o vetro, subito abbandonate perché il seno sembrava poco naturale. Poi fu la volta di materiali spugnosi, come l’Ivalon, che poteva essere modellato, ma col tempo si restringevano, si indurivano e si distorcevano. Gli impianti moderni, a base di silicone, iniziarono nel 1963; ben più tardiva la liposuzione .

Per vero, già il Tagliacozzi, chirurgo bolognese della metà del 1500, poneva interrogativi etici chiedendosi se la medicina avesse il compito solo di curare, o anche di migliorare parti del corpo. Rispondendo che interventi di questo genere ridavano integrità ad organi che la natura stessa aveva fornito, reintegrando nuovamente le funzioni a loro attribuite. Siamo ovviamente, innanzi a quella chirurgia plastica ricostruttiva che non ha bisogno di ricorrere al diritto alla bellezza.

E la chiesa cattolica come si pone innanzi a questo dilagante fenomeno? Del tutto recentemente si è pronunciata sulla rivista “The Rock”, che non è una rivista musicale, ma la più rilevante rivista cattolica americana laddove si legge che la chiesa non si è occupata di questo problema nel suo magistero, ma dalla teologia morale si può trarre la conclusione che  La chirurgia plastica sembrerebbe permessa anche senza significativi effetti terapeutici, purchè non procuri danno a un bene più prezioso.

Sulla differenza fra pura estetica o effetto terapeutico viene in mente la Paltrof,  attrice americana, che  parafrasando San Filippo Neri riconosce la chirurgia estetica pura vanità, ma subito dopo “rifiuto il silicone, il botox o altri trucchi, però una correzione al seno dopo l’allattamento perché no?”

Le problematiche etiche aumentano allorché la  vanità necessaria viene trasferita agli interventi miranti ad una attrattiva  sessuale, si argomenta sulla liceità morale di un incremento del 60% nella sola Londra degli interventi sul fondo schiena dopo il matrimonio dell’anno, stimolati dalla sorella Pippa, definita sorella posteriore, anagraficamente si intende.

Helen Mirren che nel cinema ha rivestito i panni della regina Elisabetta a 66 anni, pur non avendo alcun rigetto per la chirurgia plastica vieterebbe alle ragazzine di modificare il loro aspetto in base al principio della “purezza fantastica della bellezza giovanile”. Ed ancora lady Gaga che ha fatto del suo apparire il suo essere e che  si scaglia contro la chirurgia plastica esclamando “il bisturi promuove insicurezza”. Britney Spears spende quindicimila dollari per una mastoplastica addittiva con il risultato che le ragazzine americane che ricorrono a ritocchi al seno sono oltre mezzo milione: di qui Julia Roberts, a 43 anni Pretty Woman, si scaglia contro le dive dei reality scelte sempre fra le più vistose,  affermando  il segreto della bellezza è la felicità interiore.

Certo che l’ossessione per il fisico è divenuta una patologia psichica che viene definita body dismorphic disorder ( BDD ) ed in America raggiunge già il tre per cento della popolazione. Che fare, negare il bisturi anche a loro? Le realtà sono profondamente diverse perché nella cultura americana non vi è l’immagine della senescenza, mentre questa è presente in quella inglese anche nel cinema. Judy dank ed Helen Mirren.

 

La lega anti chirurgia plastica ha trovato in Inghilterra proseliti da parte di molte attrici famose  con lo slogan “Tante donne che si sono sottoposte ai ferri chirurgici mostrano i segni dei ferri stessi , al punto da essere testimoni di un messaggio ben più preoccupante per la donna stessa : sono tanto vecchia da essermi dovuta sottoporre ad interventi per eliminare le borse sotto gli occhi, gonfiare le labbra e tirare la faccia”, ed allora appare più  opportuno il ricorso ad uno psicologo.

 

Ma la legge dell’estetica “sembra, quindi è” regge.

 

Sull’argomento si è inserita Natalia Aspesi che del tutto recentemente su Repubblica in un articolo che commentava la lega antichirurgia estetica affermava  “quando l’età avanza non è che dandoci un taglio diverremo più sani e più belli”.

 

Il dibattito  ha coinvolto quindi artisti e medici, psicologi e sociologi, filosofi  e femministe, perfino pastori e parroci  stimolati  dal fatto che non sono più i cinquantenni a recarsi dal chirurgo ma sempre più i giovanissimi e i maschi, che cercano di  stare bene con sé stessi, cosa che sperano di ottenere con un’artefatta apparente giovinezza estetica, disumanizzante e tutta eguale. Ne consegue che inesorabilmente perdenti, si cerca la ricostruzione della propria identità anche nell’uomo, così, al comprensibile rilasciamento maschile intorno ai quaranta anni sino agli anni 90 per il rallentamento del metabolismo,  la calvizie e l’appesantimento ai fianchi, si contrappone oggi un ricorso al bisturi per maquillage facciale o addominale, ed anche  interventi sui posteriori nelle fasce di età che le statistiche rilevano sempre più alta fra i nati fra  il 70 e l’80  ; generazione che non si identifica con il ricordo dei genitori perché chi ha oggi oltre quaranta anni  appartiene alla prima generazione vivendo una fascia di età che non è più la mezza età di ieri, ma il proseguire di una agonica gioventù che impone anche una immagine adeguata, dovendosi inventare una nuova identità; Nel film Crazy stupid love una ragazza che vede per la prima volta il torace di un palestrato  quarantenne dice ammirata “ sembri proprio fotoshoppato”.

Si cerca quindi una nuova identità reinventandosi una diversa età biologica scegliendo partners sempre più giovani cercando di non apparire patetici , aggettivo che i più lucidi e sensibili scoprono dopo i quaranta anni, ma sconosciuto ad una minoranza di uomini che arriva a una vecchiaia discotecara fuori tempo massimo e pluritricotrapiantata senza farci alcun caso. In altre parole si deve  riformulare non solo l’aspetto ma anche l’immagine interiore che essi hanno di sé stessi e non già quella che gli altri hanno di lui. Nuova immagine, per prolungare una apparente gioventù che stimola anche all’uso di farmaci per cercare di mantenere le prestazioni che la neoristrutturata età imporrebbe.  Lo specchio è il vero arbitro del nostro essere, non facciamo in modo che esso diventi bugiardo con noi stessi; possiamo sempre romperlo, ma ogni frammento continuerà a mentirci.

 

Riassumendo quanto sin qui letto si pone il problema se questa chirurgia è terapia, o non piuttosto vanità? e se è questa ultima la causa del suo essere, può intendersi vanità necessaria solo ai fini di una sua eventuale redditualità, ovvero deve intendersi terapia di una patologia psichica che merita di essere trattata diversamente?

A questo punto, come trattamento psico-terapeutico deve ricadere fra le prestazioni previste dall’assistenza offerta dalle istituzioni?

Esistono i presupposti etici a sostegno di questi trattamenti? E non parlo qui degli aspetti deontologici che pur dovrebbero improntare l’operato dei chirurghi se non per quel colloquio preliminare teso ad informare le difficoltà solite ad  accettarsi nella nuova identità esterna, non cambiando le insicurezze interne.

Riferendosi alle immagini di attrici sempre apparentemente giovani, il regista Philipe Garrel così si è espresso “con il bisturi cerchiamo l’eternità, ma questo non serve a niente perché noi restiamo mortali”. Corriere della sera di sabato 27 agosto ’11 Repubblica del 18 agosto

 

Nel 1928 Suzanne Noel pubblicò “La chirurgie esthètique. Son role social”. In esso la scrittrice sottolineava l’importanza, tanto per le donne quanto per gli uomini, della chirurgia estetica in rapporto alle prospettive lavorative. Nel 1927 Charles Conrad Miller pubblicò la prima rivista americana del settore, la “Review of Plastic and Aesthetic Surgery”che, oltre a prospettare la chirurgia estetica per migliorare esteticamente le sembianze, la interpretava  nell’America a cavallo dei secoli, come possibilità di assimilazione sociale. Numerose erano infatti le minoranze etniche presenti nel territorio, le quali vedevano nella propria diversità motivo di discriminazione razziale; del resto più recentemente  molti ebrei, costretti a vivere in un clima di anti-semitismo, vedendo nella forma del naso un tratto fisiognomico caratteristico, fecero ricorso a interventi di rinoplastica, di qui, Jaques joesph, chirurgo ebraico, rendendosi conto che, affinché l’esito fosse quello richiesto, era necessario eliminare ogni traccia dell’intervento, sviluppò una tecnica di ricostruzione per via endonasale, intervento che riscosse molto successo, tale da essere richiesto per puri fini estetici. Se per gli uomini in particolare un fattore di disagio era creato dal naso, le donne si misuravano su un’altra parte del corpo :il seno, da sempre considerato strumento di seduzione, con il passare del tempo e con mode che esaltavano sempre di più la figura femminile, le esigenze mutavano da un fine discriminante razziale ad una finalità estetica,  che inizialmente riteneva ideale per la donna del nuovo millennio  un seno piccolo.

 

‘diritto alla bellezza dunque, diritto nuovo? Tra i diritti fondamentali dell’essere umano finora si ricordano quello alla libertà individuale, alla vita, all’autodeterminazione, al giusto processo, a un’esistenza dignitosa, alla libertà religiosa, alla privacy ed altro, ma del diritto alla bellezza  non si era mai parlato se non come diritto a vivere in un ambiente consono alle esigenze dell’uomo anche sotto il profilo estetico e naturale.

Nella filosofia moderna e contemporanea La bellezza appartiene a tutte le culture e nessuno ha il diritto di imporne un modello piuttosto che un altro, anche se gli effetti omologanti dei processi di globalizzazione sembrano ancora voler imporre la bellezza della pelle bianca e delle acconciature occidentali.

Il fenomeno riguarda soprattutto le persone di pelle scura che, per motivi sociali e culturali, utilizzano prodotti schiarenti al fine di diminuire la tonalità del colore nero della propria pelle.

 

Infatti l’ideale di bellezza, fin dall’Antica Grecia si è identificato nel colore bianco e nei capelli biondi e solo dalla metà del secolo scorso i movimenti di liberazione femminile africani e afroamericani hanno tentato di rilanciare non sempre con successo, lo slogan “Black is beautiful”.

Ritornando al mantra di Pitanguey anche il povero ha diritto a essere bellissimo (di Elvira Serra ),ci troviamo a dover naturalisticamente sostenere che le istituzioni  dovrebbero essere coinvolte; ma ci si deve domandare quanto incide la pressione sociale e quanto l’insicurezza umana.

L’estate è la stagione della corporeità, il trionfo dell’estetica, dell’apparire, del mostrarsi e del guardare. C’è un’antropologia delle visione, del colpo d’occhio, della variazione cromatica tra abbronzature, dei confronti volumetrici tra curve (sia maschili che femminili) che raggiunge i livelli più alti di tutto l’anno, definita Antropologia stagionale; e così In estate esplode il business dei concorsi di bellezza, dove schiere di giovanissime esaltano la civiltà del consumismo, additata come quella delle apparenze, dove il famoso valore di come si appare sembra non lasci scampo al valore di come si sarebbe … diatribe etico-filosofiche, certo, ma molto interessanti anche da una prospettiva antropologica: dopotutto si ha a che fare con corpi e valori, sistemi di comunicazione e di potere, conflitti fra prospettive educative, fra ciò che si ritiene buono e ciò che si ritiene meno buono…. è antropologia culturale pubblica !

L’antropologia insegna che non c’è niente di più culturale che il modo in cui una società, una cultura, crea, costruisce, valuta, promuove e diffonde ciò che ritiene essere “bello”. E, con bello, molto spesso buono, giusto, opportuno, ottimale, ideale e, alla fine, normale. Ma come riflettere attorno a queste espressioni culturali, che diventano ovviamente economiche, politiche, ideologiche e alla fine, anche biologiche?

Ben si innesta quindi la  provocazione  di istituire un “diritto alla bellezza” al pari del diritto all’istruzione, alla salute. Il ragionamento è semplice e, dopo un disorientamento iniziale, pare persino filare. Questa la catena logica:

1) la “bellezza” è un capitale che Catherine Hakim (LSE), partendo da Bourdieu e la sua distinzione dei capitali (individuale, umano, sociale) , ha definito “capitale erotico“, cioè potenzialità di stimolare negli altri sensazioni di piacere, di soddisfacimento sessuale. Innumerevoli studi correlano positivamente la variabile “bellezza” con la progressione di carriera, sia per uomini che donne (permettendo quindi l’accumulo di altro capitale);

2) la “bellezza” è all’origine un capitale grezzo e a costo zero (di natura, direbbe Platone), ma poi necessita di investimenti per essere mantenuta. Molti, però, di questo capitale non sono proprio dotati, e partono pertanto con un capitale individuale compromesso fin dall’inizio;

3) la “bellezza” può essere aumentata grazie alla tecnologia e alla scienza medica.

Da qui la domanda: se attraverso queste tecnologie è possibile rendere una persona più bella, e di conseguenza più sicura di sè, più propensa alle relazioni, più accettata socialmente, più efficiente nel progredire di carriera e, alla fine, più felice, perchè non si dovrebbe parlare di un diritto? Le istituzioni pubbliche, insomma, dovrebbero farsi carico di tutelare e esaudire questo diritto delle persone di diventare più belle per essere più felici. Quindi, diritto alla bellezza uguale a diritto all’istruzione? Capitale erotico intercambiabile con capitale cognitivo? Il tutto finanziato con soldi pubblici?

Ma capitale erotico e capitale cognitivo sono profondamente diversi, il primo è contingente nel tempo e nello spazio, tende a creare stereotipi estetici e sindrome del clone ed è relazionale, necessitante cioè di un altro che mi riconosce bello; Il capitale cognitivo, invece, deriva dall’istruzione ed è produttore  di socialità ad alto valore, è sopraindividuale e favorisce creatività, innovazione e differenziazione.

Passando alla discussione sul capitale erotico, non vi è dubbio che questo faccia parte di quel capitale simbolico alla Bourdieu che poi si traduce in capitale economico.
Il difetto di tutta la discussione, però, sta nell’equiparare bellezza e capitale erotico, mentre la bruttezza o per lo meno la mancanza di bellezza denuncerebbe la mancanza di capitale erotico fin dalla culla .. Sbagliato. La bellezza è notoriamente negli occhi di chi guarda ed è colorata culturalmente. Citerei a questo punto quanto letto sul Corriere del veneto giovedì 18 agosto, sulla storia di Gabrina, amante di Pio Enea II degli Obizzi, che alla sua morte fece costruire una fontana a lei dedicata: “Gabrina qui giace vecchia e lasciva che benché sorda, stralunata e zoppa, si trastullò in amor finchè fu viva”.

In occasione dei sessant’anni dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato Pubblicato il volumetto diritti umani e religioni con le relazioni sui temi affrontati tra il 2009 e il 2010 e fra questi  il diritto alla bellezza dalla sociologa Maria Cecilia Visentin  che scrive “l’individualismo dominante fa sì che la rivendicazione dei diritti dell’uomo si tramuti in affermazione dei diritti dell’individuo più che della persona, ossia dell’essere umano decurtato della dimensione sociale e privo di trascendenza, drammaticamente giuugnendo nella globalizzante imposizione culturale.

Nella visione cattolica una corretta interpretazione ed un’efficace tutela dei diritti dipendono da un’antropologia che abbraccia la totalità delle dimensioni costitutive della persona umana. La dignità umana, uguale in ogni persona, è, pertanto, la ragione ultima per cui i diritti possono essere rivendicati per sé e per gli altri con maggior forza.  In questo senso la bellezza è un diritto, concetto sostenuto anche dal Pietro Lorenzetti, Direttore Scientifico dell’Istituto Villa Borghese di Roma che ha partecipato in veste di relatore e che, riferendosi ad interventi ricostruttivi post mastectomie in campo oncologico, così si esprime ” Quando devo effettuare una ricostruzione mi trovo davanti a problematiche completamente diverse da quelle estetiche così come ad aspettative che devono essere mediate. Un intervento di rimozione di un tumore talora  è molto radicale e la ferita che lascia è molto più profonda di quella fisica, perchè lede l’integrità dell’io. Quando ricostruiamo un seno ferito dal tumore accettiamo un testimone scomodo dai medici che hanno salvato la vita a quella paziente. Chi dice che è possibile avere lo stesso risultato di un intervento estetico mente, ci sforziamo di dare a queste donne una vita dignitosa nel rapporto con se stesse e con il partner”

It was the height of Rio’s sticky summer and the city had almost slowed to a standstill, as had progress on my anthropology doctorate research on Afro-Brazilian syncretism.The beauty of the human body has raised distinct ethical issues for different epochs. E torno al tema per avviarmi alla conclusione, riproponendomi  una domanda, può la bellezza considerarsi al pari di altri diritti al punto di essere realizzata con l’aiuto di istituzioni pubbliche? The question might seem absurd. La domanda può sembrare assurda anche nel nuovo  Brasile che ha ratificato un ambizioso diritto costituzionale alla salute. Public hospitals, though, are poorly funded and often beset by long lines, crumbling infrastructure and rude service. Ospedali pubblici, però, sono scarsamente finanziati e spesso assediati da attese  lunghe, fatiscenti infrastrutture e servizi inefficienti. (My middle class Brazilian friends, who pay enviably low premiums for private health insurance, generally would not set foot in one.) A right to beauty thus seems to value a rather frivolous concern in a country with more pressing problems — from tropical diseases, like dengue, to the diseases of civilization, like diabetes.Il diritto alla bellezza sembra dunque il valore di una preoccupazione piuttosto frivola in quei paese con problemi più pressanti. Yet to an outsider trying to understand a new society, such a view had a whiff of condescension. Eppure, cercando di capire una nuova società, tale punto di vista ha avuto ampia condiscendenza, ricorrendo anche ad una giustificazione terapeutica radicale, laddove l’oggetto reale di guarigione non è il corpo, ma la mente; si è giunti a definire un chirurgo plastico uno psicologo con un bisturi in mano sia per le procedure estetiche che per quelle ricostruttive, la chirurgia e la guarigione mentale sottilmente si mescolano a tutela della salute. I remembered the remark of a Carnival designer: “Only intellectuals like misery, the poor want luxury.” I wanted to try to understand what this medical practice meant to the people who practiced it and claimed they benefited from it.

But does cosmetic surgery deliver the benefits it claims to?While the “talking cure” treated bodily complaints via the mind, plastic surgery healed mental suffering via the body. Mentre la “cura parlante” tratta i reclami del corpo attraverso la mente, la chirurgia plastica guarisce la  sofferenza mentale attraverso il corpo. Historian Sander Gilman called plastic surgery “psychoanalysis in reverse.” In Brazil, as in Argentina, psychoanalysis enjoyed extraordinary popularity among wealthier Brazilians. Lo storico Sander Gilman definisce la chirurgia plastica la “psicoanalisi al contrario” portando alla visione di uno psicanalista che sa tutto ma non cambia nulla, e ad un plastico che non sa nulla ma cambia tutto. Per far rientrare la chirurgia nell’ambito delle psicoterapie, mancava, però,  una diagnosi valida. Il riferimento al complesso di inferiorità secondo lo psicoanalista Alfred Adler – e più tardi la bassa autostima – hanno fornito l’ anello mancante.

Questo ha portato ad un nuovo atteggiamento nell’analizzare il rapporto fra aspetto e salute mentale: l’idea che almeno alcuni difetti causano sofferenza ingiusta e stigma sociale è certamente vero.But Brazilian surgeons take this reasoning a step further. Di qui potrebbe apparire concreta la visione di una prestazione al  Cosmetic surgery is a consumer service in most of the world.alservizio dei consumatori, anche ai soli fini estetici, essendo  una “vanità necessaria”.The growth of plastic surgery thus reflects a new way of working not only on the suffering mind, but also on the erotic body.  Sino a che punto peraltro, se lo sviluppo di questa specialistica riflette sempre più una nuova impostazione sociale, non solo terapia della mente, ma stimolante l’attrazione erotica, finendo col confondere la rimozione di difetti con la giocosa dissimulazione e con la  seduzione, contribuendo a una visione biologizzata di sesso dove piacere e fantasia sono  limitati dall’anatomica verità del corpo nudo.

This notion of a right points to a potential problem with rights during a period when consumers are becoming a more powerful political force. Pitanguy’s philosophy is disturbing for many reasons, yet it suggests a point about the significance of attractiveness often overlooked in philosophical or academic discussion.Pierre Bourdieu, superando anche Marx, sosteneva cheBeauty is unfair: the attractive enjoy privileges and powers gained without merit. La bellezza è un bene ingiusto: i privilegiati godono di vantaggi  senza merito. As such it can offend egalitarian values. Come tale può offendere valori egualitari, pertanto, se Yet while attractiveness is a quality “awarded” to those who don’t morally deserve it, it can also grant power to those excluded from other systems of privilege. è una qualità “assegnata” a coloro che non lo meritano moralmente, può anche concedere potere a coloro che sono esclusi da altri sistemi di privilegio. It is a kind of “double negative”: a form of power that is unfairly distributed but which can disturb other unfair hierarchies. Si tratterebbe in altre parole  di una sorta di “doppio negativo”: una forma di potere che viene ingiustamente distribuita, ma che può disturbare altri valori slealmente. For this reason it may have democratic appeal. Per questo motivo in aree urbane povere la In Brazil’s favelas many dreams for social mobility center on the body. seduzione può divenire un mezzo per sfuggire alla povertà. Ecco il capitale erotico, utilizzato in attesa di un cambiamento collettivo.Powerful attractions that cross class lines are a favorite theme in telenovelas.The psychoanalyst knows everything but changes nothing.

Come contraltare non si può che fare ricorso a Kant che nelle Osservazioni sul sentimento del Bello e Sublime (1764)  afferma “la bellezza è un parere che proviene da un consenso della maggioranza in una società particolare that find an inspiring satisfaction in some thing. che trova New York Times soddisfazione ispirando un qualche cosa; Most often it relates to our primary sense–vision– Il più delle volte si riferisce al nostro senso primario –la  visione – but it could relate to any of our senses. ma potrebbe riferirsi a qualsiasi altro dei nostri sensi.  Bellezza come forma egualitaria di capitale sociale quindi,  come un diritto per superare barriere sociali e culturali , è questo lo sdoganamento per un diritto riconosciuto istituzionalmenteBeauty as egalitarian form of social capital

  Il disaccordo con la pratica estetica viene spesso identificato in un atteggiamento” antiquato, militarista, grossolano, repressivo della libertà delle donne a fare ciò che vogliono con i loro corpi”, come definito dai venezuelani  un articolo del New York Times dell’ 8 marzo 2011 ,  riferendosi al caso dell’ ultima vittima di un intervento di mastoplastica additiva.
  Troppa enfasi sulla funzione dell’immagine ci rende ciechi alla realtà della vita sia del  corpo che delle sue sensazioni.

Le pazienti che hanno effettuato trattamenti di chirurgia plastica ripetutamente hanno delle grosse difficoltà di identificazione con la loro immagine femminile Pensiamo a tutte le donne che non riescono ad accettare l’invecchiamento, che vivono con terrore il passare del tempo e che si riducono ad essere l’una la falsa copia dell’altra, con gli stessi tratti del viso, le stesse labbra ritoccate le stesse rughe che non ci sono e guai a strappare un sorriso non troppo contenuto. Anche in questi casi le difficoltà ad accettarsi sono notevoli e non si tratta solo di farsi più belle o di migliorare il proprio aspetto, ma di stravolgere dei volti il cui ricordo si può vedere solo in vecchie fotografie. Come pure i giovani che ricorrono al bisturi per migliorare un corpo in evoluzione, per emulare personaggi dello spettacolo che fanno parte di una realtà lontana e diversa dalla loro, con il consenso di genitori che accettano tutto pur di vedere “felici” i loro figli senza chiedersi però il perché di quella ricerca.

Sappiamo bene come psiche e corpo hanno influenza reciproca e risulta quindi impensabile che un corpo stravolto non abbia effetti sulla mente.

E si nota subito come il nesso tra chirurgia plastica e psicologia è molto rilevante poiché la mancata considerazione dei bisogni psicologici di base sia da parte del chirurgo sia da parte della paziente può portare a risultati preoccupanti in termini di salute mentale come stati depressivi acuti, somatizzazioni, ed in molti casi stati di ansia generalizzata con frequenti attacchi di panico.Ma da quali pericoli ci difendiamo? Che cosa ci fa paura?

Tante le risposte e le opinioni, ma soprattutto la paura dell’invecchiamento, dimentiche che una donna bella non significa una donna senza rughe, ma nella valutazione personale le rughe non sono tutte uguali: alcune non deturpano, umanizzano.

Per concludere ricordo Anna Magnani che insegna, come dobbiamo rispettare noi stessi e il nostro vissuto, riconoscendo nella “bellezza”, la sicurezza e la dignità di essere donna, di essere attrice, di essere bella. Al suo truccatore imponeva di non toccarle alcuna delle sue rughe perchè ci aveva messo una vita a farle.

Diritto alla bellezza o non ? è un quesito che non mi sarei posto, riconoscendo il diritto individuale di soddisfare le proprie esigenze, pur convinto che il più spesso ricercando una bellezza artificiale, ricerchiamo qualcosa di diverso che non comprendiamo e a cui non sappiamo trovare risposta.  Certo, eliminando quel disestetismo patologico,connesso a esiti di patologie, traumi e interventi chirurgici, per un disestetismo sostenuto da patologie psichiche adeguatamente comprovate, similmente alla legge sul transessualismo che consente  l’adeguamento dei caratteri somatici alla identità psichica.

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