DELLA PIETRA B.: La farmacopea del piacere: i farmaci anoressizzanti – Pleasure Pharmacopeia: Anorexiant Drugs.

DELLA PIETRA B.*

La farmacopea del piacere: i farmaci anoressizzanti

Relazione alle VI Giornate Di Studio GISDI: “La medicina del piacere: tra  benessere e danno alla persona” . Sestri Levante (GE) 27 – 29 Ottobre 2011

*Professore Associato di Medicina Legale – Seconda Università degli Studi di Napoli .

Corresponding Author: prof. Bruno Della Pietra: Phone: +39 0815666018.

e-mail: bruno.dellapietra@unina2.it

 

Parole chiave: farmaci anoressizzanti, off-label, farmacovigilanza.

Keywords: anorectic drugs, off-label, pharmacovigilance.

 

Riassunto

In una società, come quella odierna, dedita ai valori di bello e di giovane si sviluppano sempre più trattamenti legati al raggiungimento di questi canoni di bellezza legati soprattutto alla magrezza. In questo contesto si inseriscono le problematiche legate al possibile uso terapeutico off-label di altri farmaci, dalle problematiche ancora in fieri inerenti l’evoluzione dalla ‘sperimentazione dei farmaci in IV fase’ alla ‘farmacovigilanza’ e, soprattutto, dall’uso extra-terapeutico di diete e di integratori con le correlate problematiche derivanti dalle “figure professionali” che in un tal tipo di pratica, non sempre clinica, vengono coinvolte

 

Abstract

Pleasure Pharmacopeia: Anorexiant Drugs.

In a society, like our, dedicated to the Values as the Beauty and the Youth, are increasingly developing treatments related to the achievement of high standards of beauty especially related to thinness. In this context, are arising problems related to the possible therapeutic off-label use of some drugs, inherent with  the ongoing evolution from “testing of drugs in Phase IV” to “Pharmacovigilance” and, above all, problems related to the extra-therapeutic use of diets and supplements, and problems related to the “professionals” involved in this type of practice, not always clinical.

L’intervento è inserito nel contesto della sessione “La farmacopea del piacere: i farmaci anoressizzanti” condivisa con altri Colleghi con i quali si è ritenuto opportuno suddividere i diversi aspetti da affrontare.

Del tema che ci è stato assegnato ho gradito prendere in esame, in particolare, un settore per il quale gli aspetti dottrinari e valutativi medico-legali non sono di normale frequentazione: l’obesità o il sovrappeso e le “cure dimagranti”; la moda tuttora ispirata ancora a modelli di “magrezza”; i riverberi sull’industria del piacere e del piacersi – anche clinica e farmaceutica – e l’uso “patologico” delle “cure” e/o delle “diete” verso modelli di “dipendenza”.

In tal senso si rinvia agli altri interventi le tematiche più specifiche in tema di “farmaci anoressizzanti” [peraltro ormai non più presenti in farmacopea nel nostro Paese] con un quasi completo abbandono dell’uso terapeutico.

Gli aspetti del tema assegnato su cui mi sono, in particolare, soffermato sono rappresentati: dal possibile uso terapeutico off-label di altri farmaci, dalle problematiche connesse ed ancora non definite dell’evoluzione dalla ‘sperimentazione in IV fase’ alla ‘farmacovigilanza’ e, soprattutto, dall’uso extra-terapeutico di diete e di integratori con le correlate problematiche derivanti dalle “figure professionali” che in un tal tipo di pratica, non sempre clinica, vengono coinvolte.

Non si sono affrontati gli aspetti relativi alle terapie chirurgiche dell’obesità [chirurgia bariatrica], degli esiti della stessa e della chirurgia estetica che – anche se aventi, spesso, le stesse indicazioni dell’uso dei farmaci anoressizzanti – sono davvero lontane dal tema proposto e meritevoli di autonoma ed approfondita trattazione.

Non vi è dubbio che negli ultimi decenni si sia sviluppata, nel nostro Paese ed in tutto il mondo occidentale, una cultura legata a valori ispirati al ‘bello ed al giovane’[1] e, di conseguenza, sono proliferati anche i trattamenti e le terapie volti a raggiungere questo scopo.

Prima di addentrarci in questa problematica sembra opportuno ricordare come l’obesità ed il sovrappeso vengano definiti mediante il calcolo dell’indice di massa corporea (IMC)[2]. Con questo parametro è possibile definire il peso normale con un IMC tra 18,5 e 24,9; il sovrappeso se tra 25,0 e 29,9; l’obesità se superiore a 30.

Non vi è dubbio che i farmaci anti-obesità abbiano i loro goal terapeutici in: a) riduzione dell’assunzione di calorie [riduzione della fame (anoressizzanti), aumento della sazietà, riduzione della preferenza per grassi e carboidrati, riduzione dell’assorbimento intestinale]; b) aumento del consumo energetico [incremento dell’attività fisica; aumento del metabolismo basale, della termogenesi e dell’ossidazione dei grassi].

Per perseguire tali finalità vi sono numerosi tipi di farmaci e tra di essi ve ne sono alcuni – trattati anche negli altri interventi della sessione – che vengono utilizzati in modalità ‘off-label’.

Va sin da subito sottolineato che per uso ‘off-label’ di farmaci si intende correntemente l’impiego di farmaci non conforme a quanto previsto nella scheda tecnica autorizzata dal Ministero della Salute e, quindi, una prescrizione di farmaci per indicazioni, modalità di somministrazione e dosaggi differenti da quelli indicati nel foglio illustrativo.

Si tratta di molecole ampiamente conosciute, ma per le quali nuove evidenze scientifiche suggeriscono un loro razionale uso anche in situazioni cliniche non previste nella scheda tecnica e nel foglietto illustrativo e per le quali, quindi, non sono stati autorizzati all’atto dell’immissione in commercio dal Ministero della Salute o dall’EMEA[3]. Nonostante la preoccupazione per la sicurezza dei pazienti (l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci sono state, infatti, valutate molto spesso in Paesi diversi) ed i costi a carico del Sistema Sanitario, in alcuni casi le prescrizioni off-label si sono rivelate una valida alternativa terapeutica per patologie che non rispondono alle terapie correnti[4]. A tal proposito si ricorda il caso della regione Emilia Romagna che con la Legge Regionale n° 24 del 22 dicembre 2009 di fatto autorizzava l’utilizzo di farmaci off-label sancendo all’articolo 35 della predetta Legge che “la Regione, avvalendosi della Commissione regionale del farmaco, può prevedere, in sede di aggiornamento del Prontuario terapeutico regionale, l’uso di farmaci anche al di fuori delle indicazioni registrate nell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), quando tale estensione consenta, a parità di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci già autorizzati, una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale e tuteli la libertà di scelta terapeutica da parte dei professionisti del SSN”.

Tuttavia, questa decisione adottata dall’Assemblea regionale è stata bocciata dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n° 8/2011 con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 35 della legge della Regione Emilia-Romagna 22 dicembre 2009, n. 24 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell’art. 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l’approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012)” in quanto non è possibile prevedere una diversa prescrivibilità, intesa per diversa indicazione terapeutica, in una Regione rispetto alle altre del nostro Paese sino a quando sarà in vigore l’attuale assetto costituzionale.

La tematica relativa all’uso off-label dei farmaci mi porta anche a riproporre un tema già affrontato in altri consessi scientifici e relativo all’evoluzione normativa che, da oltre un decennio, si è avuta in tema di ‘sperimentazione dei farmaci’ ed in tema di ‘farmacovigilanza’.

Si vuole ricordare come la ‘sperimentazione dei farmaci’ sia differenziata in Italia ed in Europa in una fase pre-clinica con la quale la molecola viene studiata in laboratorio su di un modello non umano e realizzato come un sistema mirato verso una patologia per la quale ne vengono rilevati gli effetti. Dopo aver verificato che la molecola in esame ha l’efficacia desiderata sul target farmacologico e un accettabile grado di sicurezza per l’utilizzo, si passa alla fase sperimentale clinica dove se ne verificano la tollerabilità e l’efficacia sull’uomo.

Tale ‘fase sperimentale’ si suddivide in: fase I o di ‘farmacologia clinica’; fase II o di ‘studio di efficacia’; fase III o ‘studio multicentrico’.

Superate queste tre fasi si passava alla Fase IV della sperimentazione farmaceutica (post-marketing) che, prima degli anni ’70, comportava che “una volta ottenuta la registrazione, la ricerca clinica” proseguiva “con maggior libertà di scelta da parte del Direttore medico locale dell’Industria e dei vari sperimentatori”[5]. Negli anni ’70 tale Fase venne inquadrata dai farmacologi francesi – che ritenevano necessario definire un protocollo di controlli per definire meglio il profilo di sicurezza di un farmaco – come ‘Farmacovigilanza’[6] e tale inquadramento venne, poi, adottato (dopo circa quindici anni) dagli altri Paesi ed, in particolare, dai Paesi Europei.

Questa faseche è relativa all’uso del farmaco su tutta la popolazione generale – deve essere individuata come quella nella quale la valutazione del rischio ed il monitoraggio dell’incidenza di effetti indesiderati (reazioni avverse) potenzialmente associati al trattamento farmacologico ne comportano variazioni nelle indicazioni o nel tipo di utilizzo per l’ulteriore permanenza in commercio o, in alcuni casi, il ritiro dal commercio.

A tal fine comprende, quindi, una serie di attività finalizzate a valutare in modo continuativo le informazioni sulla sicurezza dei farmaci e ad assicurare alla popolazione un rapporto rischio/beneficio favorevole per il loro uso.

A livello normativo la “Farmacovigilanza” è regolamentata dal D.Lgs. 18.02.1997, n° 44 “Attuazione della Direttiva 93/39/CEE, che modifica le direttive 65/65/CEE 65/318/CEE e 65/319/CEE relative ai medicinali”, dal D.Lgs. 08.04.2003, n. 95 “Attuazione della direttiva 2000/38/CE relativa alle specialità medicinali” nell’ambito della modifica – al punto c), dall’art. 1 – dell’art. 4  del D.Lgs. 18.02.1997 n° 44. Successivamente è stato emanato il D.L.vo 219/06 che riguarda le segnalazioni spontanee, da letteratura e da studi osservazionali; non si applica invece alle segnalazioni di reazioni avverse che si verificano nel corso di sperimentazioni cliniche, la cui gestione è regolamentata dal D.L.vo 211/03. Peraltro, il D.L.vo 219/06, regolamentando il funzionamento del sistema nazionale di farmacovigilanza – che fa capo all’AIFA in Italia ed all’EMEA in Europa – assegna a ciascun soggetto coinvolto compiti precisi e prevede specifici obblighi, integrati dalle norme previste dai Decreti 24 maggio 2002, 6 novembre 2003 e 12 dicembre 2003, dalle procedure via via comunicate dall’AIFA, attraverso il suo sito web e la Rete Nazionale di Farmacovigilanza e dalle linee guida comunitarie indicate progressivamente dall’EMEA.

In conclusione, con quest’ultima importante normativa si è definitivamente posto un confine tra la ‘sperimentazione’ e la ‘farmacovigilanza’ che porta, però, a confermare tutti i dubbi espressi all’epoca ed ora in relazione all’abolizione della “sperimentazione in fase IV” [che, soprattutto, per le nuove molecole poteva sussistere e prevedere studi clinici di verifica su una più ampia popolazione] e non essere sostituita tout court dalla “farmacovigilanza” che rappresenta una importante conquista per il monitoraggio continuo di tutti i farmaci in commercio onde poterne su tutta la popolazione saggiarne le ‘reazioni avverse’ che potrebbero manifestarsi anche per l’impiego in associazione con altri nuovi farmaci o con influenze ambientali o comportamentali (ad esempio uso di droghe) che potrebbero aver variata la sicurezza di un farmaco ormai ritenuto collaudato nella pratica clinica.

Ciò potrebbe comportare – all’atto del verificarsi di un “danno alla persona” per evento avverso – l’insorgere di problematiche giuridiche, giurisprudenziali e medico-legali relative, in particolare, al “consenso informato” ed alla “scelta” di un farmaco “nuovo” quando la ‘scelta terapeutica’ poteva prevedere ancora l’utilizzo di un ‘farmaco collaudato’.

In una tale ipotesi potrebbe insorgere una ‘colpa per imprudenza’, soprattutto quando tale scelta terapeutica viene effettuata nell’ambito di una prescrizione ‘non protetta’.

Un ultimo e particolare aspetto da affrontare nel corso di questa breve trattazione è quello inerente le diete.

Il termine dieta significa “metodo di vita o, più particolarmente, genere determinato di alimentazione, adottato per fini terapeutici o igienici[7]. Tuttavia, v’è sempre stata confusione e sovrapposizione di ruoli per decidere chi dovesse “prescrivere” la dieta al paziente.

Nella recente sentenza n° 3527 del 18 febbraio 2011 della I Sezione Civile del Tribunale di Roma è stato affermato che “il biologo può solo suggerire o consigliare profili nutrizionali finalizzati al miglioramento dello stato di salute e mai, in nessun caso, può prescrivere una dieta come atto curativo, che rimane sempre un’attribuzione esclusiva del medico”.

Come a dire che la prescrizione di una dieta nella cura di uno stato patologico appartiene solo alla professionalità del medico; infatti alla professionalità dei Biologi – a norma del parere del Ministero della Salute del 15/12/2009 – appartiene solo il “poter stabilire in maniera autonoma le diete necessarie per mantenere l’individuo in buona salute, valutando non solo le caratteristiche nutrizionali dei vari alimenti, ma altresì se sia il caso di ricorrere ad integratori alimentari”.

E, tuttavia, bisogna prendere in considerazione anche la professionalità di un’altra figura sanitaria quale quella dei Dietisti; ad essi appartengono “tutte le attività finalizzate alla corretta applicazione della alimentazione e della nutrizione ivi compresi gli aspetti educativi e di collaborazione all’attuazione delle politiche alimentari, nel rispetto della norma vigente[8]. Tuttavia, nell’articolo 2 del D.M. n° 744 del 1994[9] è lo stesso Legislatore a generare confusione riguardo le mansioni del dietista usando la dizione “elabora, formula ed attua le diete prescritte dal medico e ne controlla l’accettabilità da parte del paziente”.

Ulteriori notevoli problemi di eventuale ‘danno alla persona’ potrebbero derivare dall’incongrua indicazione che viene “suggerita” da profili professionali quali quelli di: Farmacisti; Erboristi; Allenatori e preparatori atletici in ambito sportivo agonistico e, soprattutto, non agonistico; Personal trainer ed Estetisti.

In conclusione la normativa in materia di prescrizione di diete appare troppo poco chiara e da ciò nasce l’esigenza di una più attenta e mirata regolamentazione da parte del Ministero della Salute che tenda, fondamentalmente, a campagne di intervento sanitario – preventivo e curativo – sull’obesità e su tutte le forme di ‘disturbo dell’alimentazione’ e, nel contempo, di una chiara informazione ai cittadini sulle figure professionali competenti – e per quali attribuzioni – e di quelle incompetenti.

 

Bibliografia

  • Massimino F. La prescrizione dei farmaci “off-label”: adempimenti, obblighi e responsabilità del medico. Danno e Responsabilità 2003(10): 925 – 937.
  • Marino A. Farmacologia clinica e farmacoterapia. Napoli: Idelson; 1973.
  • Puccini C., Istituzioni di Medicina Legale, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 2003.
  • Battaglia S. Grande dizionario della lingua italiana. Torino: Utet; 1967.

[1]Sui giornali troviamo quotidianamente tracce di questo dibattito (Elisa Manacorda scrive sull’Espresso dell’08.10.2011: “Tutto ciò oggi non può prescindere dall’altro obiettivo della ricerca scientifica e medica che tende ad allungare la vita dell’uomo ed a migliorarne sempre di più la qualità per cui lo studio delle abitudini alimentari è divenuto uno studio prevalente alla ricerca della giornalistica definizione di ‘amortalità’ che riconosce nelle creme, nelle diete, nel bisturi, nei farmaci, ecc. i mezzi per inchiodare le lancette dell’orologio in un eterno presente”. In Italia vi sono 16.000 persone che hanno superato i cento anni. Nello stesso articolo vengono riportate immagini di donne di età superiore ai 70 anni e si pone l’accento sulla moderna scienza della “glicobiologia” per la quale lo studio degli zuccheri (in particolare dei glicani) è mirato all’evidenziazione del ruolo che i carboidrati hanno sul sistema immunitario e sulla longevità. In altri paesi come gli Stati Uniti d’America in estate sul The New York Times veniva pubblicato un articolo di Alexander Edmonds intitolato “A necessary vanity” (una vanità necessaria) in cui ci si interrogava proprio sul diritto al bello.

[2] IMC = peso in kilogrammi/(altezza in metri)2.

[3]Massimino F. La prescrizione dei farmaci  “off-label”: adempimenti, obblighi e responsabilità del medico. Danno e Responsabilità 2003(10): 925 – 937.

[4]Nell’ambito delle terapie contro l’obesità i farmaci che possono essere usati in off-label sono principalmente: buproprione, metformina, acarbosio, cimetidina, diazossido, brocriptina, zonisamide, felbamato e soprattutto topiramato. Riguardo quest’ultimo si precisa che è già stato al centro delle cronache giudiziarie nazionali quando la dott.ssa M.D. veniva tratta in giudizio dinanzi al Tribunale di Pistoia – Sezione distaccata di Monsummano Terme per rispondere del reato di lesioni dolose aggravate in danno della minore R. V. ex artt. 582 e 583 c.p., consistite in sonnolenza, incubi, emicrania, depressione, eccitabilità ed un episodio di allucinazioni, oltre che nella insorgenza di calcolosi renale, di disturbi oculari e di colecistopatia, per una durata superiore a giorni 40 (anche se il capo di imputazione dava atto che alcune delle patologie risultavano ancora in corso).  Alla stessa veniva contestato di avere provocato le predette lesioni per avere prescritto, nella qualità di medico, alla minore sopra indicata, per la cura dell’obesità, l’assunzione del farmaco Topamax, quale terapia sperimentale, in mancanza di adeguata informazione ed espresso consenso del paziente o di chi esercitava la potestà genitoriale, in dosaggi superiori a quelli consentiti (200 mg al giorno, dose in seguito raddoppiata), senza seguire il lento incremento della dose raccomandata. Il Giudice di I grado, all’esito del dibattimento e sulla base anche di perizie tecniche, escludeva la sussistenza del rapporto causale tra Topamax ed alcune delle patologie elencate nel capo di imputazione (diplopia oculare, calcolosi renale e colecistopatia), mentre condivideva l’impostazione accusatoria secondo la quale la M. D. era responsabile del reato di lesioni volontarie aggravate. Inoltre, lo stesso giudicante riteneva che la prevenuta aveva agito cercando di sfruttare l’effetto anoressizzante del medicinale (uno degli effetti collaterali del predetto medicinale), così accettando il rischio della insorgenza di quegli ulteriori effetti collaterali del farmaco che furono quelli che avevano comportato lo stato di malattia della minore. La finalità terapeutica, ad avviso del giudicante, non escludeva pertanto il dolo eventuale dell’imputata la quale aveva agito accettando il rischio della insorgenza di questi ulteriori effetti negativi, come emergeva dalle dichiarazioni rese dalla stessa prevenuta, senza un correlativo apprezzabile beneficio in termini di cura della patologia di cui la minore soffriva. Tale consapevolezza rendeva la condotta dell’imputata del tutto incompatibile con la cd. colpa cosciente (art. 61 c.p., n. 3), che presuppone che l’agente abbia respinto il rischio di verificazione dell’evento non voluto, confidando nella propria capacità di controllare l’azione. Successivamente la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava M.D. responsabile del reato di lesioni colpose gravi, così diversamente qualificata l’originaria imputazione. La Corte di merito sostanzialmente condivideva le argomentazioni del primo giudice con riferimento alla sussistenza della malattia, alla sua durata ed al nesso di causalità. Con riferimento al gravame proposto dalla parte civile, richiamando le conclusioni dei periti nominati dal Giudice e della stessa parte civile nonché le dichiarazioni rese da un oculista e dal medico di famiglia, sentiti quali testimoni, nonché la documentazione sanitaria in atti, i giudici di appello ritenevano l’insussistenza di una prova certa circa l’estensione del nesso di causalità agli altri disturbi elencati nella seconda parte del capo di imputazione. Dagli atti emergeva che, prima della cura a base di Topamax, erano state tentate altre e più ordinarie strade, quali cure dimagranti, anche con un precedente ricovero, con risultati non apprezzabili; la causa del disturbo alimentare della minore era di carattere psicologico, come emergeva dalle dichiarazioni della madre, la quale, per questo motivo, si era rivolta ad una specialista in psicologia; pur volendo ammettere che il rapporto costi/benefici nel caso in esame fosse sbilanciato a favore dei primi, non risultava provato, alla luce dei dati sopra indicati, il comportamento doloso del medico, caratterizzato cioè dalla deliberata volontà di cagionare lesioni, anche se conosciute come possibili effetti collaterali; emergeva, invece, un comportamento colposo della prevenuta, la quale non osservava imprudentemente e negligentemente il protocollo al quale l’uso off-label del topiramato era subordinato (adeguato consenso informato, con esatta indicazione dei possibili effetti negativi del farmaco ed attività di monitoraggio delle condizioni della minore, nella specie durante il trattamento). Infine la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione chiudeva la vicenda pronunciando la sentenza n. 37077 del 24 giugno 2008 con cui veniva confermato quanto detto dalla Corte d’Appello di Firenze (“… Non è discutibile che l’attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso” del paziente, che non si identifica con quello di cui all’articolo 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento. Tuttavia, non è possibile ipotizzare la mancanza di consenso quale elemento della colpa, perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza. Pur se l’attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso informato” del paziente, è da escludere che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido possa di norma farsi discendere la responsabilità del medico a titolo di lesioni volontarie ovvero, in caso di esito letale, a titolo di omicidio preterintenzionale. Ciò in quanto il sanitario il quale, salve situazioni anomale e distorte (nelle quali potrebbe ammettersi la configurabilità di tali reati: per esempio, nei casi in cui la morte consegua ad una mutilazione procurata in assenza di qualsiasi necessità o di menomazione inferta, con esito mortale, per scopi esclusivamente scientifici), si trova ad agire, magari erroneamente, ma pur sempre con una finalità curativa, che è concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni …”).

[5]Marino A. Farmacologia clinica e farmacoterapia. Napoli: Idelson; 1973.

[6]Secondo il Puccini “dalla sperimentazione clinica vera e propria si distingue la farmacovigilanza, che viene effettuata sulle specialità medicinali già registrate e ammesse alla libera prescrizione” (Puccini C., Istituzioni di Medicina Legale, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 2003).

[7]Battaglia S. Grande dizionario della lingua italiana. Torino: Utet; 1967.

[8]art. 1 D. M. n° 744 del 1994.

[9]Ai sensi dell’art. 2 D. M. n° 744 del 1994° alla professionalità dei Dietisti appartengono i seguenti specifici atti di competenza: “a) organizza e coordina le attività specifiche relative all’alimentazione in generale e alla dietetica in particolare;b) collabora con gli organi preposti alla tutela dell’aspetto igienico sanitario del servizio di alimentazione;
c) elabora, formula ed attua le diete prescritte dal medico e ne controlla l’accettabilità da parte del paziente;d) collabora con altre figure al trattamento multidisciplinare dei disturbi del comportamento alimentare;e) studia ed elabora la composizione di razioni alimentari atte a soddisfare i bisogni nutrizionali di gruppi di popolazione e pianifica l’organizzazione dei servizi di alimentazione di comunità di sani e di malati; f) svolge attività didattico – educativa e di informazione finalizzate alla diffusione di principi di alimentazione corretta tale da consentire il recupero e il mantenimento di un buono stato di salute del singolo, di collettività e di gruppi di popolazione
”.

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